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Gesù cammina sul mare ed abbiamo paura, come i discepoli. Ci spaventa l'incontro con un mistero che supera la nostra stessa speranza. Siamo presi dalle onde della vita, è buio, e ci sentiamo soli; le preoccupazioni, le difficoltà ci schiacciano in una prospettiva limitata, distolgono il nostro sguardo dall'orizzonte verso il quale stiamo navigando.

Gli eventi contingenti appesantiscono il nostro cuore sino a pensare che la vita si esaurisca in quel momento che viviamo, che tutto si giochi in quell'istante, ineluttabile. Risolvere quel problema, sospingere la barca un metro più avanti, sfangarla e superare quell'ostacolo. E dimentichiamo il contesto autentico della nostra esistenza; è buio, e Gesù non è ancora con noi, ed è un sentimento che ci coglie spesso, inconscio, subdolo, ma che si manifesta nelle nostre attitudini concrete.

Gesù è in ritardo, bisogna sbrigarsela da soli... Abbiamo visto miracoli, ed in essi il nostro povero cuore incapace di sfamare reso fecondo di una vita straripante e abbondante. Abbiamo sperimentato il potere della benedizione del Signore, ma il buio, il vento e le onde ci annebbiano la memoria, siamo ancora così acerbi nella fede... Ci si arrangia, si cercano soluzioni seguendo criteri umani, si briga e ci si affatica.

E abbiamo paura quando Lui appare, quando ci si avvicina camminando sulle acque. Temiamo di vedere sbriciolarsi le piccole certezze acquisite, smentito il nostro meschino modo di orientarsi nei problemi, evaporare l'effimera soluzione di compromesso, strapparsi le toppe cucite sul vestito vecchio. Abbiamo paura di un destino più grande, di un orizzonte che relativizza queste nostre giornate, questi nostri affari, sentimenti, lotte, preoccupazioni.

Perché la serietà della vita risiede nel destino per la quale ci è data. Non è seria e autentica quando ci afferra e ci schiaccia sul presente. Non è più seria perché stringiamo i pugni e mettiamo ogni sforzo per un colpo di remi in più. Gli eventi non sono atomi isolati, ogni istante che ci è donato è incastonato in una volontà che abbraccia l'eternità.

Il buio, il vento e le onde, il mare di morte e solitudine, angoscia e timore che solchiamo ogni giorno è aperto verso il Cielo. Cafarnao è la Patria, l'origine e la meta, immagine della dimora dalla quale siamo stati chiamati e verso la quale siamo diretti. Il Cielo è la nostra Cafarnao: ogni evento reca inscritto il destino celeste cui siamo chiamati. Vivere autenticamente è remare avendo bene presente l'orizzonte verso il quale è orientata la nostra barca.

Gesù si avvicina anche oggi a ciascuno di noi, persi nei frammenti disordinati delle nostre esistenze. Appare camminando sul mare, e ci parla, ci illumina, ci desta: sono Io, non temete! Sono Io, e voi siete in me, esistete per me, e con me camminate verso il Cielo. Non temete, proprio nelle avversità, in quelle di oggi, e di domani, splende più vivido e consolante l'orizzonte celeste che dà senso alla vita.

Ogni evento indica il Cielo, camminare sulle acque significa scoprire in ogni legame, nel lavoro, nella famiglia, nelle amicizie, nelle sofferenze e nelle gioie, il segno eterno del suo amore. Camminare sul mare significa non esaurirsi nei problemi, non esigere soluzioni e cambiamenti, non intestardirsi e nevrotizzare tutto, come se quel problema, quella difficoltà, quel litigio fossero l'ultima spiaggia.

Non cedere alla disperazione, perché tutto guarda oltre, e la pazienza di chi ha gli occhi fissi sul Cielo raggiunge sempre il porto sospirato. "Nada te turbe, nada te espante, quien à Dios tiene nada le falta.Solo Dios basta. Todo se pasa, Dios no se muda, la paciencia todo lo alcanza. Niente ti turbi, niente ti spaventi, chi ha Dio niente gli manca. Solo Dio basta. Tutto passa, Dio non cambia, la pazienza tutto lo raggiunge" (Santa Teresa d'Avila).
III DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA. ANNO B

La Pasqua è Cristo “in carne ed ossa” che ci chiede di consegnargli la nostra vita, tutta! È questo il passo decisivo che ci manca: “convertirci”, consegnare a Cristo noi stessi, perché Lui possa “mangiarne davanti ai nostri occhi”. Se lo farai, esploderai nella gioia del perdono e della vita nuova, stupendoti al punto di “non credere ai tuoi occhi” nel vedere che le barriere dei pensieri, delle angosce, dei dubbi che ti separavano dalla “Pace” e dalla pienezza della felicità non esistono più.

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LUNEDÌ DELLA III SETTIMANA DEL TEMPO DI PASQUA

Sbriga quella pratica frustrante, stira le camice, studia quella materia insopportabile, accetta solitudine e limiti della vecchiaia, abbraccia i dolori della malattia, sono il "cibo che non perisce" sul quale il Padre ha messo il "sigillo" del suo Spirito, la vita che non muore. Non si tratta di dover fare qualcosa di straordinario per compiere chissà quali opere, perché l'unica opera di Dio è la fede, cioè accogliere in noi la sua opera che strappa la nostra vita alla corruzione.
O Divino Maestro,
che io non cerchi tanto di essere consolato quanto di consolare.
Non di essere compreso quanto di comprendere.
Non di essere amato, quanto di amare.
Infatti: donando si riceve.
Dimenticandosi si trova comprensione.
Perdonando si è perdonati.
Morendo si risuscita alla vera Vita.

San Francesco d’Assisi
I "segni" che Dio depone nella nostra vita sono il suo profumo sparso per indicarci la via da seguire, un assaggio del banchetto che ci ha preparato.

Ma, insipienti e stolti come siamo, vorremmo fermarci agli aperitivi e agli antipasti; ingordi ci abbuffiamo di tartine e non abbiamo più spazio per i primi, i secondi, i dessert.

Ci fermiamo sulla soglia del Cielo confondendolo con qualche millimetro di terra. I miracoli con cui il Signore moltiplica la nostra vita sono solo la porta a qualcosa di infinitamente più grande che è l'incontro decisivo con Cristo.

E' Lui il cibo che non perisce, è Lui il nostro desiderio più profondo. E' Lui la "via" alla "verità" che genera in noi la "vita". Per questo oggi ci invita a "procurarci il cibo che non si corrompe". Ma se non è il miracolo che fa presente il suo potere soprannaturale, qual'è questo cibo incorruttibile? E' Lui, il pane che sazia la vita di ogni uomo.

E come posso "procurarmelo"? Cercando Gesù con un cuore purificato. Accettando che Lui non è dove io credo debba stare, e quindi accettando di camminare dietro a Lui, uscendo ogni istante da me stesso, per trovarlo nella Pasqua, nel passaggio che strappa la nostra vita alla corruzione; in un cammino di ogni giorno sulle strade della conversione verso una fede adulta.

Per questo, come ha fatto con i discepoli lasciandoli entrare da soli nella notte e delle difficoltà, non si lascia afferrare dal nostro cuore idolatrico, e, lasciandoci sempre di nuovo affamati del cibo che sazia il ventre, ci obbliga a scoprire che la nostra fame autentica è quella di essere in Lui come Lui, l'ardente bisogno di donarsi e non di offrire a noi stessi la vita, le persone e le cose.

Lui va oltre per introdurci nell'al di là che ci attende nella storia e nelle persone, nel compimento vero della nostra vita, che è trascenderci, donarci a chi ci è accanto uscendo da noi stessi. Di questo sono stati "segno" i pani che ci ha donato moltiplicati.

Noi trasformati in pane che sazia, nello stesso alimento incorruttibile di cui ci nutriamo, Cristo, e del suo amore più forte della morte e della paura. Amare come siamo amati è l'unico cibo capace di sfamarci e realizzarci.

Come Lui e con Lui sempre più in là, a Cafarnao, e poi ovunque e per chiunque abbia fame di Lui. Il "cibo che non perisce", dunque, è quello che reca il sigillo del Padre, la denominazione di origine controllata e garantita di un'opera destinata all'eternità. Il suo amore, che offre se stesso in tutto e nulla offre a se stesso.

Il "cibo che non perisce" è lo stesso alimento di Cristo, fare la volontà di Colui che lo ha inviato e compiere la sua opera: offrire la propria vita, passare attraverso la grande tribolazione della Croce, perché anche al nemico siano spalancate le porte del Cielo. Sulla volontà di Dio, infatti, non c'è data di scadenza, punta diritta alla vita eterna.
MARTEDÌ DELLA III SETTIMANA DEL TEMPO DI PASQUA

Chiediamo a Gesù che ci dia sempre l'unico Pane che ci sazia, perché realizza in noi la volontà d'amore nella quale siamo stati creati. Solo la fede che cresce e si rinnova in un continuo “andare a Cristo” ci fa capaci di accogliere quello che realmente il nostro cuore desidera. "Sempre", perché ogni giorno è diverso, ogni istante la persona che ci è accanto cambia, e occorre uscire da se stessi per amarla ed entrare nella storia.
LUNEDÌ DELLA VII SETTIMANA DEL TEMPO DI PASQUA

La Croce ci ha "dispersi ognuno per conto proprio”, a ribellarci lontani da essa. Come il mondo abbiamo bisogno di essere salvati, che cioè sia vinta in noi la radice del male che ci scandalizza e disperde nella solitudine. Ma proprio l'abisso della nostra solitudine ha incontrato la solitudine crocifissa di Cristo, e in essa, la sua intimità con il Padre. Lui non era solo! Sulla Croce era inchiodato alla volontà del Padre; nell'amore gli era più intimo che mai e ci ha accolti nella loro intimità. Ti senti solo e sconfitto? Apri il tuo cuore a Cristo perché vi scenda per vincere il demonio che ti sta ingannando. La sua vittoria sul mondo, infatti, è la santità di Dio incarnata nella tua dissipazione in mille alienazioni e solitudini travestite. Così, questo mondo disperso e rancoroso nel quale sei chiamato a vivere, non sarà più il luogo dove sperare un Messia giustiziere, ma quello dove tu possa ritornare ad essere santo a immagine e somiglianza di Dio, amore per ogni uomo.

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PIGIATI NEL TORCHIO CON CRISTO

Ci siamo, mancano pochi giorni al "compimento dell'opera di Cristo sulla terra", ovvero cercare e salvare la pecora perduta per riportarla all'ovile. Per questo nel Vangelo di oggi appare con gli occhi "alzati verso il cielo" indicando a tutti noi il posto che ci ha preparato. E' tutto pronto, basta solo accogliere la sua "Gloria" nella nostra povera carne, la Gloria dell'amore. Amore al Padre, ai discepoli, ad ogni uomo, amore compiuto nell' "ora" della Croce, nella quale la Gloria di Dio è scesa sul Figlio perché Egli potesse, nella sua carne, glorificare il Padre. Non era mai successo che un uomo potesse rendere pienamente Gloria a Dio. Non a noi, che, come ogni uomo, siamo stati creati proprio per essere il riflesso della sua Gloria, ovvero la dimora del suo Spirito vivificante che, secondo il disegno del Creatore, avrebbe dovuto colmare ogni nostro pensiero, parola e gesto. Ma, per l'inganno del demonio a cui abbiamo creduto, ciò non è accaduto. Quante mormorazioni, quanti giudizi, quanti peccati hanno sottratto la Gloria a Dio... Sì fratelli, soffriamo perché non possiamo rendere gloria a Dio con la nostra vita che, per questo, si trasforma in un caos che anticipa l'inferno. Ma proprio qui Gesù ha "compiuto l'opera che il Padre gli aveva dato da fare" manifestando nell'ultimo posto del mondo la Gloria di Dio. Anche nel peggior pezzo della nostra storia, nell'anfratto più oscuro del nostro cuore Gesù è sceso per deporvi la "Gloria del Padre", che significa la sua presenza misericordiosa. Come, infatti, la sua "Shekinà" accompagnò il Popolo d'Israele nelle angosce dell'esilio a Babilonia, essa non ha mai abbandonato l'esilio dal paradiso di ogni uomo, scendendo sino ai bassifondi più corrotti. La "Gloria del Padre", infatti, si è manifestata nel suo Figlio crocifisso, umiliato, disprezzato, rifiutato per raccogliere dalla discarica della storia la carne di ogni peccatore e riscattarla, facendone di nuovo una dimora per lo Spirito Santo. Così Gesù stesso è stato "glorificato dal Padre con la stessa Gloria che", nella sua intimità, "aveva prima che il mondo fosse": proprio per essere entrato nella morte, infatti, Gesù è stato risuscitato e accolto nel Cielo dove si è presentato "davanti" al Padre insieme a coloro che hanno accolto il suo sacrificio.

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2024/05/15 00:40:42
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